Alessandra Acocella
«Nella fluidità di un segno ininterrotto»*
Note su temi e contesti dell’opera di Giuliano Pini
Nel 1997 l’Istituto degli Innocenti ospita la mostra “Il tempo della memoria nelle
cronache fiorentine” di Giuliano Pini. L’artista fiorentino, allora in una fase matura della propria ricerca pittorica e grafica, offre una visione al contempo immaginaria e reale della città attraverso una galleria di oltre cento ritratti di figure legate al suo universo poetico e affettivo, dai maestri – ideali e non – ai compagni di strada e di vita, così come di personaggi comuni incontrati lungo il cammino. Sullo sfondo di architetture iconiche, monumenti scultorei e scorci urbani tanto riconoscibili quanto trasfigurati dalla personale carica segnica e allegorica di Pini, questo ciclo di opere ritrae una costellazione di personaggi che, insieme a luoghi d’affezione, permette di ripercorrere trasversalmente il filo della sua vicenda biografica e creativa e del contesto culturale in cui questa si è inserita a partire dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento. «Nella circolarità dell’immaginazione – scrive Pini al riguardo – ho cercato di fermare quei personaggi, famosi e non, che nel palcoscenico della città, fosse questo un teatro o una strada o il mio rione, si sono fatti attori ai miei occhi e alla mia sensibilità»2.
Seguendo il corteo immaginario di attori che popolano il “palcoscenico della città” messo in mostra all’Istituto degli Innocenti, è possibile risalire indietro nel tempo fino agli esordi dell’artista, segnati dalla conoscenza e frequentazione, breve ma determinante, di Ottone Rosai. Il maestro fiorentino, conosciuto da Pini non ancora ventenne tramite il pittore Leonardo Papasogli e che, impressionato dal suo segno deciso, lo incoraggerà a proseguire la strada intrapresa3, figura in ben quattro dipinti del ciclo “Il tempo della memoria”, emergendo come una presenza ancora viva e forte nell’immaginario dell’artista. Apparentemente insolito, all’interno di questa serie, è il ritratto del 1993 in cui la presenza di Rosai è affiancata a quella di Francis Bacon (fig. 1). Nello spazio orizzontale della tela, Rosai è rappresentato in primo piano di profilo, con il pennello in mano, sullo sfondo di una finestra aperta sull’abside di Santa Maria del Fiore che sembra rievocare, con le sue forme sintetiche, le vedute urbane dipinte dal maestro fiorentino alla metà degli anni Cinquanta. Vedute che il giovane Pini aveva certamente avuto modo di osservare in presa diretta nello studio di Rosai e che erano state in parte esposte nella mostra-omaggio, che egli stesso aveva aiutato con cura e attenzione a smontare, organizzata da Carlo Ludovico Ragghianti nel 1953 nelle sale della Galleria La Strozzina .(4).
Nel dipinto del 1993, alla concretezza della figura di Rosai ritratta in primo piano si contrappone l’immagine quasi fantasmatica – ma anch’essa ben riconoscibile – di Bacon, il cui volto è per metà oscurato dal buio della stanza. Questa presenza, come coglie sulle pagine del catalogo Mario De Micheli (critico che segue con continuità l’intera vicenda artistica di Pini), appare legata da un filo immaginario al maestro fiorentino e in particolare al suo spirito inquieto e tormentato: «Pensavo soprattutto a certi autoritratti rosaiani ingorgati e sanguigni, che forniscono di lui un turgido aspetto, assai simile alle densità di un Bacon, che ha concentrato tutto il suo interesse sull’uomo rifiutando ogni riscatto dello spirito».(5).
Ed è proprio l’uomo, con tutto il suo portato esistenziale, al centro della produzione pittorica e grafica di Giuliano Pini sin dalle prime occasioni espositive a Firenze tra la fine degli anni Cinquanta e l’avvio del decennio successivo. Oltre a far proprio, come osserva la critica del tempo, l’insegnamento «del Rosai più acido e ansioso di moralità nel dipingere la forma dell’uomo»6, nei primi anni di attività Pini attinge a un vasto repertorio di fonti visive di respiro europeo, elaborando un’originale cifra stilistica figurativa che proseguirà, rinnovandosi, nella sua produzione più matura, in un disegno profilato da contorni fluidi e al contempo incisivi che serrano campiture di colore dalla forte intensità espressiva.
I suoi esordi si collocano all’interno dell’attività del gruppo Nuova Corrente, guidato dallo spagnolo Xavier Bueno, a cui egli stesso prende parte sin dalla mostra inaugurale nel febbraio 19607. Nato dalla volontà programmatica di porsi come alternativa ai condizionamenti speculativi del mercato dell’arte e alle proposte istituzionali di una Firenze sempre troppo “arroccata” sul suo glorioso passato, il gruppo apre un proprio spazio espositivo in via del Moro all’insegna dell’autogestione (una formula, questa, che avrà ampio seguito negli anni successivi a Firenze, sia pur sperimentata da collettivi di artisti che, lontani delle istanze della figurazione, si apriranno alle nuove tendenze d’avanguardia)8. Ricorda Papasogli, tra gli animatori al gruppo: «Era proprio l’esigenza di costruirci uno spazio espositivo dove esistessero le possibilità di produrre esperienze culturali, anziché limitarci a consumarle, o meglio a smerciarle, che ci fece orientare verso l’autogestione»9. Pur nella loro diversa specificità, le ricerche di questi giovani pittori accolgono e promuovono le istanze di un realismo dal dichiarato impegno sociale e politico, attento ai valori dell’uomo. L’impegno artistico e politico trova espressione emblematica e corale nella partecipazione al grande dipinto collettivo e al relativo documento per il disarmo generale a firma di trentasei pittori fiorentini che, rifiutato dalle istituzioni cittadine, sarà esposto nel 1962 – anno in cui termina l’attività di gruppo -presso la sede di Nuova Corrente (fig. 2). Questo “quadro antiatomico” dominato da una inquietante figura dai tratti distorti, sul cui petto campeggiano scritte-denuncia (quali «nazismo», «militarismo», «paura», «ipocrisia», «danaro», «cinismo», ecc.), non appare priva di richiami – sia pur non dichiarati – alle esperienze dell’espressionismo realista e in particolare di Otto Dix che aveva affrontato con durezza proprio il tema delle armi chimiche nell’acquaforte La guerra durante un attacco di gas (1924). Richiami che possono essere attestati dalla vicinanza dei giovani pittori di Nuova Corrente a Mario De Micheli, critico che aveva già dedicato importanti studi a questa linea di ricerca primo novecentesca, tra cui l’ampio capitolo sul “realismo espressionista” nel suo fortunato volume Le avanguardie artistiche del Novecento apparso per la prima volta nel 1959. (10).
Il riferimento a una linea espressionista mitteleuropea tanto nel segno duro quanto nei temi di denuncia sociale e inquietudine esistenziale, unito alla pratica dell’incisione, costituiscono del resto un vero e proprio filo rosso nella personale ricerca sviluppata dall’artista fiorentino dagli anni Sessanta e Settanta.
La sua passione per la grafica, espressa sin dalla prima personale del 1961 presso lo spazio Nuova Corrente (11) si alimenta negli anni grazie alle frequentazioni di laboratori e centri espositivi attivi a Firenze rivolti alla produzione e diffusione di immagini a stampa. Alle numerose personali di pittura in diverse sedi espositive italiane, tra cui quelle allestite a Firenze presso la Galleria Santa Croce diretta da Laura Gori che dedica in quegli anni viva attenzione ad artisti animati come Pini dalla «passione» e dalla «capacità del disegno» (tra cui i pittori Leonardo Cremonini, Giuseppe Guerreschi, Renzo Vespignani e gli scultori Floriano Bodini e Giuliano Vangi) (12), si alternano altri importanti eventi dedicati in via esclusiva alla sua produzione grafica, come Disegni e incisioni di Giuliano Pini (1972) presso la Galleria La Soffitta di Enrico Pratesi a Sesto Fiorentino (13) e ancora le due mostre organizzate dalla Stamperia La Bezuga nel 1979 e 1981.
Grazie all’attività avviata dalla Stamperia Il Bisonte alla fine degli anni Cinquanta con la direzione di Maria Luigia Guaita, sulla scia del crescente interesse nazionale e internazionale per la grafica d’arte, Firenze si era imposta difatti come un importante polo di sperimentazione delle nuove possibilità offerte dall’opera stampata, richiamando affermati artisti italiani e stranieri a realizzare incisioni e litografie direttamente ai torchi del loro laboratorio (14). Tra i torcolieri “storici” de Il Bisonte è da ricordare Raffaello Becattini, con cui Pini entrerà in contatto nei primi anni Ottanta e che lo accompagnerà, stringendo uno stretto rapporto di fiducia e stima reciproca, nella realizzazione di una vasta serie di litografie e acqueforti (15). Attraverso un inedito connubio tra pratica artistica e realizzazione artigianale, tra creatività e produzione in serie, la grafica d’arte coinvolge un pubblico più ampio grazie al minor prezzo delle opere uniche, affermandosi in quegli anni anche nel capoluogo toscano, grazie all’esperienza germinale de Il Bisonte, nel quadro di un nuovo collezionismo.
In questo contesto apre la propria attività nei primi anni Settanta, in via de’ Pandolfini, La Stamperia La Bezuga. Come già sperimentato dalla fortunata formula de Il Bisonte, La Bezuga affianca all’ambiente del laboratorio, seguito da Giuliano Allegri e Alvaro Bracaloni, uno spazio antistante per inedite mostre dove l’esposizione di una serie di opere grafiche ruota intorno alla presenza di un unico grande dipinto. I legami tra Pini e questa vitale realtà dell’ambiente artistico fiorentino sono sanciti nel 1979 dalla personale “Il punto da raggiungere” (16). La mostra susciterà un vivo interesse da parte della critica del tempo; emblematica, al riguardo, la recensione di Ragghianti (attento sostenitore dell’attività delle stamperie fiorentine sin dalle prime esperienze de Il Bisonte), che inserisce il personalissimo linguaggio di Pini nel solco di una lunga tradizione animata dalla passione per la linea, definendo l’artista nei termini di un «pittore fiorentino e europeo», «erede di Botticelli e osservante di Michelangelo, che galvanizza, per così dire, Beardsley e Schiele»17.
Nel catalogo della mostra, dall’elegante veste grafica, pubblicato dalla stessa stamperia, una fotografia in bianco e nero ritrae il pittore all’opera davanti al grande quadro Il punto da raggiungere, mentre si scorge nell’angolo sinistro, poggiato su un cavalletto, un piccolo ritratto immaginario di Durer che sarà esposto nell’ottobre di quello stesso anno presso la Galleria Forni di Amsterdam.(18) (fig. 3). La compresenza nello studio di queste due opere appare emblematica di un anno di svolta nella ricerca dell’artista. Da un lato l’omaggio al grande incisore tedesco dichiara e sancisce, insieme all’emblematico terzetto dei “ritratti novecenteschi” ai quali è affiancato nella mostra di Amsterdam, Otto Dix (fig. 4), Kathe Schmidt Kollwitz ed Egon Schiele, alcune tra le principali fonti estetiche mitteleuropee a cui aveva guardato il suo lavoro nei due decenni precedenti e su cui la critica si era a lungo soffermata (19); dall’altro la tela in preparazione che grandeggia nell’atelier, animata da una forte tensione lirica (espressa anche dal titolo), apre a un nuovo orizzonte di ricerca che caratterizzerà tutta la sua produzione matura, volta a sondare, non soltanto a livello di temi e contenuti, ma anche attraverso la costruzione di uno spazio ritmico e gestuale, la sua passione sempre più forte per la musica e per la danza che troverà di lì a poco espressione nella grande mostra al Palazzo dei Diamanti di Ferrara “L’edificio del sogno. L’opera incantatrice di Richard Wagner”(20). Una passione che si alimenta attraverso importanti incontri e sodalizi intessuti dall’artista negli anni e di cui rende conto la galleria di ritratti della mostra fiorentina citata in apertura di queste note: dal fondatore della Scuola di Musica di Fiesole Piero Farulli al tenore Alfredo Kraus e al baritono Leo Nucci, dal danzatore di flamenco Antonio Gades al musicista d’avanguardia Sylvano Bussotti (fig. 5) che in una pagina del suo diario – poi pubblicata nel 1980 nel catalogo de La Bezuga – aveva definito l’arte del suo amico pittore proprio ponendone in rilievo «la pienezza del disegno sonoro»(21).
Dal testo di Mario De Micheli in Idem (a cura di), Giuliano Pini, catalogo della mostra (Arezzo, Sala di S. Ignazio – Comune di Arezzo, 3o aprile-26 giugno 1977), Edizioni Santa Croce, Firenze 1977, p. 38.
1.-Mario De Micheli (a cura di), Giuliano Pini Il tempo della memoria nelle cronache fiorentine, catalogo della mostra (Firenze, Istituto degli Innocenti, 1997), Studio d’Arte Melotti, Ferrara 1997.
2 Ivi, 35.
3 Roberta Romanelli Pini, Giuliano Pini. Biografia, in Anita Valentini (a cura di), Giuliano Pini. L’edificio del sogno e il sogno mediterraneo. Uomini, dei ed eroi, catalogo della mostra (Firenze, Palazzo Medici Riccardi, 6 giugno-I luglio 2012; Fiesole, Sala del Basolato del Comune di Fiesole, 5 luglio-5 agosto 2012), Polistampa, Firenze 2012, p. 71.
4 Ibidem Cfr. Omaggio a Rosai, catalogo della mostra (Firenze, La Strozzina, 1953), La Strozzina, Firenze 1953.
5 Mario De Micheli, Le cronache fiorentine, in Idem (a cura di), Giuliano Pini. Il tempo della memoria…, cit., p. 31.
6 Da una recensione di Dario Micacchi apparsa nel 1965 su L’Unità, poi in Mario De Micheli (a cura di), Giuliano Pini, cit., p. 38.
7 Oltre agli autori già citati, prendono parte all’attività del gruppo di Nuova Corrente, che si interromperà nel 1962, i pittori Manfredi Lombardi, Sirio Midollini, Leonardo Papasogli, Bruno Pecchioli e Pietro Tredici.
Per approfondimenti su Nuova Corrente si rimanda a Firenze. Ricerca arti visive, documenti dal dopo-guerra a oggi, a cura di Fabrizio Gori e Mauro Bini, atti della manifestazione (Firenze, Studio d’Arte Il Moro, 1985), Studio d’Arte Il Moro, Firenze 1985, pp. I 31-141.
8 Cfr. Alessandra Acocella e Caterina Toschi (a cura di), Arte a Firenze 1970-2015. Una città in prospettiva, Quodlibet, Macerata 2016.
9 Firenze. Ricerca arti visive…, cit., p. 131.
10 Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Schwarz, Milano 1959, pp. 114-127.
11 «Questi disegni di Pini — scrive De Micheli nel presentare la mostra del 1961 — hanno una qualità fondamentale: partono direttamente, senza sofismi, dalla realtà; in essa hanno un riscontro urtante, privo di qualsiasi attenuante. Le ragioni di ciò hanno radice nell’atteggiamento di questo giovane artista verso il mondo che gli sta attorno. Si tratta di un atteggiamento mordente, scevro di illusioni e tuttavia non metafisico». Ivi, p. i i.
12 Dal testo di Fortunato Bellonzi per la personale di Pini alla Galleria Santa Croce (1974), poi in Mario De Micheli (a cura di), Giuliano Pini cit., p. 25.
13 Disegni e incisioni di Giuliano Pini, catalogo della mostra, (Sesto Fiorentino, La Soffitta Galleria d’Arte moderna, 15 ottobre-28 ottobre 1972), La Soffitta, Firenze 1972.
14 Per approfondimenti sulla storia della Stam¬peria Il Bisonte si veda: Il Bisonte. Litografie e in
cisioni. Catalogo, Il Bisonte Stamperia d’Arte Grafica, Firenze 1983; Laura Gensini
(a cura di), Il segno impresso. Il Bisonte storia di una stamperia d’arte, Giunti, Firenze, 1999.
15 Sul rapporto tra Giuliano Pini e Raffaello Be¬cattini si veda il ricordo di Roberta Romanelli in Giuliano Pini. 20 anni con Raffaello, Stamperia d’Arte EDI GRAFICA R2B2, Firenze, 2003.
16 Giuliano Pini. Il punto da raggiungere, catalogo della mostra (Firenze, Stamperia La Bezuga, 12 maggio-16 giugno 1979), Stamperia La Bezuga, Firenze 1979.
17 La recensione apparsa su Il Resto del Carlino e La Nazione il 7 giugno 1979 è stata ripubblicata interamente l’anno successivo in Giuliano Pini, catalogo della mostra (Siena, Palazzo Patrizi, 198o), Stamperia La Bezuga, Firenze 1980.
18 Cfr. Giuliano Pini, catalogo della mostra (Amsterdam, Galleria Forni, dal 6 ottobre 1979), Edizioni d’Arte Santa Croce, Firenze 1979.
19 Si veda al riguardo Antologia critica, in Mario De Micheli (a cura di), Giuliano Pini, cit., pp.I 1-41.
20 Per approfondimenti sull’importanza della musica nella ricerca di Pini si rimanda ad Anita Valentini, “L’edificio del sogno e il sogno mediterraneo. Uomini, dei ed eroi”, in Ead. (a cura di), cit., pp. 11-24.
21 Sylvano Bussotti, “Di un giovane l’amplesso con il tempo” (da una pagina del diario del 20 febbraio 198o), in Giuliano Pini cit., p.n.n.
Sylvano Bussotti“I miei teatri” Ed Novecento La biblioteca di Narciso- Palermo 1982
pp 147-151